IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Letti gli atti del procedimento penale contro: Lee Nance Reginald,
 imputato:
       a) del delitto di cui all'art. 72 della legge 22 dicembre 1975,
 n. 685, per avere illecitamente detenuto, occultati all'interno di un
 involucro di carta, grammi tre circa di eroina, per uso personale non
 terapeutico di terzi; in Roma il 22 gennaio 1989;
       b)  del  delitto  di  cui all'art. 337 del c.p., per aver usato
 violenza nei confronti  degli  agenti  della  Polizia  di  Stato  che
 procedevano  alla  sua  identificazione,  per opporsi agli stessi; in
 particolare sferrando  un  pugno  nei  confronti  dell'agente  Ansini
 Stefano; in Roma il 22 gennaio 1989;
       c)   del   reato  di  cui  all'art.  498  del  c.p.,  per  aver
 abusivamente portato in luogo pubblico un baschetto con  fregio,  del
 tipo  di quelli portati dalla Polizia di Stato; in Roma il 22 gennaio
 1989;
       d)  del reato di cui all'art. 652 del c.p., per avere rifiutato
 di dare indicazioni sulla propria identita' personale agli agenti  di
 Polizia,  di  cui  al capo a), che gliene avevano fatto richiesta; in
 Roma il 22 gennaio 1989;
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza di trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Letti gli atti;
                             O S S E R V A
                        Svolgimento del processo
    Con   rapporto   datato   23   gennaio   1989,  il  dirigente  del
 commissariato P.S. Roma  Esquilino  comunicava  che  agenti  operanti
 avevano  provveduto  all'arresto  del  militare  della N.A.T.O. Nance
 Reginald Lee, perche' ritenuto responsabile dei reati  di  detenzione
 di eroina, resistenza a pubblico ufficiale, uso abusivo di uniforme e
 rifiuto di indicazioni sulla propria  identita'  personale.  Il  p.m.
 provvedeva  ad  interrogare  il  Lee e ad informare immediatamente il
 dipartimento della marina militare americana, che in data 27  gennaio
 1989  manifestava  la  volonta' di perseguire esso stesso il militare
 imputato. Il dipartimento citato  domandava,  in  base  all'art.  VII
 della  Convenzione  di  Londra  istitutiva del Patto atlantico e resa
 esecutiva in Italia con legge 30 novembre 1955, n. 1355, e il  d.P.R.
 2  dicembre  1956,  n.  1666,  al  Ministro  di grazia e giustizia di
 rinunciare alla giurisdizione: quest'ultimo, in data 16  giugno  1989
 dava il suo assenso.
                         Motivi della decisione
    Ritiene  questo g.i. che il procedimento debba essere rimesso alla
 Corte    costituzionale,    in    quanto    emergono    aspetti    di
 incostituzionalita'  in  ordine alle norme relative alla possibilita'
 di  rinuncia  alla  giurisdizione:  infatti,  sia  l'art.  VII  della
 Convenzione  di  Londra  che  l'art. 2 del d.P.R. 2 dicembre 1956, n.
 1666,  appaiono  contrastare  innanzitutto  con   l'art.   25   della
 Costituzione,   poi   con  gli  artt.  101,  102,  104  e  112  della
 Costituzione.
    La  questione  proposta  appare  rilevante,  in  quanto  dalla sua
 definizione dipende la sorte del processo, se  non  altro  di  fronte
 alla  giurisdizione italiana; inoltre, il procedimento non puo' dirsi
 definito per intervenuto provvedimento del Ministro, in  quanto,  per
 la  sua  conclusione  e'  sempre  necessaria la pronuncia dell'organo
 giurisdizionale.
    La  questione  e'  poi ammissibile e non manifestamente infondata:
 essa e' stata gia' affrontata dalla Corte con la sentenza n. 96/1973,
 ma  viene  ora  riportata sotto differenti profili e a distanza di un
 notevole lasso di tempo.
    Le  norme  sospettate  di  incostituzionalita' sono quelle citate:
 l'art. 2 della legge 30 novembre 1955, n. 1355 (nella  parte  in  cui
 da'  esecuzione  all'art. VII della Convenzione di Londra) e l'art. 2
 del d.P.R. 2 dicembre 1956, n. 1666, che attribuisce al  Ministro  di
 grazia   e   giustizia   la   facolta'  di  rinuncia  alla  priorita'
 dell'esercizio  della  giurisdizione  nei   confronti   di   militari
 appartenenti a corpi armati N.A.T.O. di stanza in Italia.
    Nella citata sentenza n. 96/1973, la Corte respingeva le eccezioni
 di incostituzionalita' sollevate dal g.i. presso il tribunale di Roma
 basandosi  su  diversi  assunti. Innanzitutto, essa sosteneva che, se
 pure vi fosse stato  contrasto  con  l'art.  25  della  Costituzione,
 questo sarebbe stato sanato dal c.d. principio di specialita', per il
 quale  le  norme  internazionali  generalmente   riconosciute   hanno
 immediata  applicazione  e  prevalenza  nell'ordinamento italiano, ai
 sensi dell'art. 10 della Costituzione. A dire  della  Corte,  fra  le
 norme  citate  rientrava  anche  il principio secondo cui lo Stato di
 origine conserva il proprio potere giurisdizionale in ordine ai reati
 commessi da appartenenti alle sue forze armate di stanza in territori
 alleati. Inoltre, ed in ogni caso, lo spostamento della giurisdizione
 sarebbe  avvenuto  a  favore  di  altro  giudice  (estero), anch'esso
 "precostituito" ai sensi dell'art. 25 della Costituzione.
    Ritiene questo g.i. che tali argomenti non possano essere definiti
 soddisfacenti, soprattutto se esaminati alla luce  del  divenire  dei
 rapporti   internazionali.   Secondo   una   secolare  e  consolidata
 tradizione, le norme internazionali vanno distinte in due  principali
 categorie:  le  consuetudini  e  le  norme  pattizie; le consuetudini
 prevalgono  su  queste  ultime,   data   la   particolare   struttura
 dell'ordinamento  internazionale nell'attuale fase storica. L'art. 10
 della    Costituzione     stabilisce     l'automatico     adeguamento
 dell'ordinamento  italiano  alle  norme  internazionali  generalmente
 riconosciute:  e'  evidente  che  tale  articolo  intende   riferirsi
 esclusivamente  alle  consuetudini,  che pertanto non necessitano del
 c.d. ordine di esecuzione per operare in Italia: non altrettanto puo'
 dirsi  riguardo  alle  norme  pattizie,  che  sottostanno pertanto al
 regime ordinario (v. Corte costituzionale, sent. n. 48/1979;  ord.  6
 febbraio 1979 nel processo Lockeed).
    Tutto  cio'  premesso, appare problematico affermare l'esistenza a
 tutto  oggi  di  una  consuetudine  che  sancisca  la   giurisdizione
 esclusiva  di uno Stato sui propri corpi armati di stanza all'estero.
 Tale principio, che  pure  ha  avuto  applicazione  fino  al  secondo
 conflitto  mondiale,  risulta  nell'ultimo  quarantennio praticamente
 ignorato dalle convenzioni che hanno istituzionalizzato  la  presenza
 di  corpi  di truppa stranieri negli Stati aderenti a singoli accordi
 difensivi.  Tali  Convenzioni,  fra  le  quali  vanno  annoverate  la
 N.A.T.O.  ed  il Patto di Varsavia, hanno invece accolto il principio
 della c.d. giurisdizione concorrente dello Stato cui appartengono  le
 truppe  e  dello  Stato  di  soggiorno. Tuttavia, non puo' affermarsi
 l'avvenuta formazione  di  una  consuetudine  internazionale  in  tal
 senso,  sia  perche' la dottrina e' fortemente discorde sul punto sia
 perche' sono pochi  sul  panorama  internazionale  i  precedenti  che
 possono  portare  ad  una soluzione affermativa: gli unici di rilievo
 sono quelli citati della N.A.T.O.  e  del  Patto  di  Varsavia.  Cio'
 posto,  non si vede come l'art. VII della Convenzione di Londra attui
 il contemperamento delle esigenze dei due Stati  interessati  (quello
 di  soggiorno e quello di origine delle truppe) attraverso una deroga
 alle consuetudini tuttora  comunemente  accettate,  ad  avviso  della
 Corte,  e  relative alla limitazione del potere giurisdizionale dello
 Stato di soggiorno. Al contrario, nella  prassi  internazionale  piu'
 recente  si  assiste  alla  formazione di una consuetudine diretta ad
 affermare, in modo sempre piu' radicato, il principio del locus regit
 actum, con rigorose limitazioni delle ipotesi eccezionali (si vedano,
 ad esempio, le  varie  convenzioni,  generali  e  particolari,  sulla
 materia dell'estradizione).
    La  norma  immessa  nell'ordinamento  con  l'art. 2 della legge 30
 novembre 1955, n. 1355, ha pertanto natura pattizia e conserva natura
 pattizia,  al pari del regolamento di esecuzione emanato con d.P.R. 2
 dicembre 1956, n. 1666, in quanto entrambe non possono trovare tutela
 costituzionale nell'art. 10 della Costituzione, per le ragioni teste'
 illustrate.  Non  puo'  poi  invocarsi  per  le  medesime  la  tutela
 derivante  dall'art. 11 della Costituzione, in quanto quest'ultimo fa
 esclusivo riferimento alle c.d. organizzazioni  generali,  mentre  la
 N.A.T.O.  e' pur sempre un'organizzazione a carattere particolare: e'
 noto come il citato articolo venne introdotto nella  Costituzione  in
 previsione dell'ammissione dell'Italia all'O.N.U., avvenuta nel 1955.
    Stabilito  che  le  norme  citate  non possono godere della tutela
 accordata dall'art. 10 della Costituzione, va esaminata la  questione
 della  compatibilita'  delle stesse con l'art. 25 della Costituzione.
 Non appaiono condivisibili, soprattutto alla luce dei nuovi  sviluppi
 dottrinari,  gli argomenti portati a sostegno della costituzionalita'
 dell'art. 2 della legge 30 novembre 1955, n. 1355, nella sentenza  n.
 96/1973. La Corte ha stabilito l'equivalenza dei termini "naturale" e
 "precostituito" contenuti nell'art. 25 della Costituzione;  tuttavia,
 non  appare  chiaro  perche' il costituente abbia voluto adoperare in
 modo  fungibile  tali  concetti,  quando  sarebbe  stato  sufficiente
 adoperare  solo  il  primo,  di  tradizione  illuministica  ("le juge
 naturel").
    L'interpretazione  piu'  corretta  appare  quella  che  assegna ai
 predetti  termini  significati  diversi:   "naturale"   inteso   come
 "predeterminato in astratto"; "precostituito" come "predeterminato in
 concreto", con individuazione della persona fisica del  giudice.  Nel
 caso  di  specie  il  giudice  viene individuato soltanto in astratto
 (quello statunitense), men tre  la  sua  individuazione  in  concreto
 avverrebbe  soltanto per relationem, ovvero tramite un mero rinvio ad
 un ordinamento estero,  senza  null'altro  disporre.  Non  si  attua,
 pertanto,  il  trasferimento  del  processo  da  una giurisdizione ad
 un'altra, ma soltanto una rinuncia all'azione penale,  con  eventuale
 riinizio  della  stessa  (si  tenga  presente  che  negli Stati Uniti
 d'America l'esercizio dell'azione penale e' discrezionale e  affidato
 ad un organo amministrativo). Vi e' quindi un'incidenza solo in senso
 negativo sulla competenza dell'organo  giurisdizionale  procedente  e
 designato   in   via   generale,  senza  che  vi  sia  individuazione
 dell'organo che dovra' giudicare. Inoltre la sottrazione  al  giudice
 naturale  avviene  in  modo  estremamente  arbitrario,  in  quanto e'
 conferita al Ministro di grazia e giustizia la facolta' di  scegliere
 l'organo piu' idoneo a jurisdicere. Tale disciplina e' conseguenziale
 violativa di altri articoli della Costituzione: cosi' degli artt. 101
 e  104,  primo  comma,  della  Costituzione in quanto il procedimento
 viene sottratto al giudice naturale con un atto del potere esecutivo,
 senza  che  l'organo  giurisdizionale  possa  sindacare il merito del
 provvedimento;  inoltre  dell'art.  112   della   Costituzione,   che
 introduce nell'ordinamento italiano il principio dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale.